“Il braille: una via d’accesso alla Cultura, all’Umanità, alla Vita”

Lo scorso 21 febbraio, in occasione della XI Giornata nazionale del braille, presso l’Aula Magna dell’Università della Calabria, che ha aperto per la prima volta i suoi spazi all’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, si è svolto un Simposio dal tema “Il braille: una via d’accesso alla Cultura, all’Umanità, alla Vita”, promosso dal Consiglio Regionale UICI della Calabria, in collaborazione con l’Ateneo medesimo e con le cinque sedi territoriali dell’UICI. “Una tappa importante, per un iniziare cammino comune di crescita culturale, scientifica e sociale”, ha affermato la dottoressa Annamaria Palummo, Consigliere Nazionale dell’UICI e coordinatrice dell’iniziativa, che, moderata dalla giornalista Isabella Roccamo, ha registrato la partecipazione di autorevoli relatori e una cospicua presenza di pubblico.

Il braille: Un ponte di punti, un ponte di libertà
di Pierfrancesco Greco
da Arcavacata di Rende (CS)
Un simposio scientifico, un’occasione per capire l’integrazione, per camminare verso il ponte che conduce all’integrazione; perché l’integrazione non è una parola; l’integrazione ha alcuni punti fermi; l’integrazione poggia su alcuni punti magici; i punti della conoscenza, i punti della coscienza di sé e degli altri; i punti pensati e donati all’umanità dall’ingegno di Louis Braille, il cui nome, da poco meno di due secoli, per coloro ai quali le ombre degli occhi rendono invisibili i colori ritempranti i nostri giorni, significa speranza e riscatto. Speranza e riscatto che viaggiano insieme alla volontà e alla capacità di aspergere la collettività con la freschezza di questo metodo di lettura e scrittura, che per i non vedenti è un ponte di luce, aperto su una strada orientata verso un diverso modo di “vedere” il mondo; una “vista” che passa dalle dita, dalle mani, dal tatto e arriva tosto alla mente e al cuore. Già, perché se agli occhi non è dato cogliere i colori, la mente serba la capacità di interrogarsi e comprendere, accarezzare e percepire, sentire e odorare la natura di questi colori, avventurandosi sulle onde delle sensazioni e trovando nel cuore il porto sicuro ove le impressioni dell’esistente diventano poesia, abbracciante la vita, con curiosità e calore, meraviglia e salubre malia: è stata una mattinata feconda di dialettica, competenza, impegno, passione, idee quella che lo scorso 21 febbraio, in occasione della XI Giornata nazionale del braille, ha pigmentato di sospiri, propositi, suggerimenti, olezzanti di crescita civica e d’incoraggiante futuro, l’Aula Magna dell’Università della Calabria, che ha fatto da adeguata ribalta a un Convegno, dal tema “Il braille: una via d’accesso alla Cultura, all’Umanità, alla Vita”, promosso dal Consiglio Regionale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Umanistiche e il Servizio Studenti con Disabilità, DSA e BES dell’Ateneo medesimo, oltre, naturalmente, che con le cinque sedi territoriali UICI della Calabria. Curata e coordinata dalla dottoressa Annamaria Palummo, Consigliere Nazionale dell’UICI, nonché Coordinatrice della Commissione Servizio Civile in seno al medesimo sodalizio, e moderata dalla dottoressa Isabella Roccamo, reporter dell’emittente Tele Europa Network e volto notissimo del panorama giornalistico regionale, l’iniziativa, che è stata parte del grande mosaico di manifestazioni che il 21 febbraio s’è esteso lungo tutta l’Italia e che ha avuto come tassello centrale il Palazzo della Borsa di Genova dove ha avuto luogo la III mostra, promossa dall’UICI nazionale, “Facciamoci vedere”, ha rappresentato una sorta di manifesto, orientato a tracciare il cammino ancora da compiere verso l’effettiva integrazione sociale dei non vedenti, avente quale punto di svolta la sinergia tra un Ente morale di rappresentanza e tutela che ha tale obiettivo come precipua ragion d’essere della sua quasi centenaria presenza, nella realtà italiana, contrassegnata da lotte, successi e inarrivabile esperienza inerentemente alla dimensione esistenziale e ai bisogni dei non vedenti, qual è l’UICI, e un Ente didattico attivo negli ambiti dell’istruzione, dell’alta formazione, della ricerca e delle attività culturali e scientifiche, preposto, quindi, all’erogazione della conoscenza in seno alla società, qual è l’Università; un manifesto prodromicamente strutturato sulla “funzione insostituibile che ha il braille in tale percorso inclusivo”, come evidenziato dal Presidente Nazionale dell’UICI Mario Barbuto in un messaggio video rivolto ai convegnisti, e vergato dalle esperienze, dall’erudizione e dalla sensibilità di eccelsi relatori, degni alfieri di quegli ambiti, associativo e universitario, che incontrandosi e lavorando insieme potranno spianare nuove strade alla solidarietà, ai diritti, al progresso morale e strutturale della socialità. Una tematica di grande interesse e stringente attualità, quella trattata nel simposio svoltosi all’Unical, che ha catalizzato l’attenzione di addetti ai lavori e associati, giunti in gran numero dalle sedi territoriali UICI di Reggio Calabria, Catanzaro, Crotone, Vibo Valentia e, logicamente, Cosenza, guidati dal Presidente Regionale, signor Pietro Testa, dai rispettivi presidenti provinciali, dottor Paolo Marcianò, signora Luciana Loprete, signora Giovanna Condoleo, signor Rocco De Luca, architetto Giuseppe Bilotti, e dagli organismi direttivi. Dirigenti e associati che hanno reso viva l’Aula e accanto ai quali, in platea, hanno preso posto anche graditissimi e prestigiosi ospiti, quali il dottor Maurizio Simone, Presidente regionale della FAND, la Federazione tra le Associazioni Nazionali per le Persone con Disabilità, che non ha fatto mancare il suo contributo a margine del meeting, e il dottor Giuseppe Zanfini, Vice Questore aggiunto della Polizia di Stato, il quale, in rappresentanza del Questore della Provincia di Cosenza, dottor Giancarlo Conticchio, ha seguito, fino alla loro conclusione, i lavori con estrema attenzione, dimostrando grande sensibilità verso queste tematiche di somma rilevanza sociale. Sensibilità, che, al contrario, non hanno manifestato altre istituzioni, a iniziare da quelle politiche, le quali hanno disertato, nonostante gli inviti, l’evento scientifico, preferendo, probabilmente, considerata l’imminenza della consultazione elettorale, altri contesti, alla ricerca di un consenso più facile rispetto a quello che si sarebbe potuto riscuotere intervenendo a un’iniziativa come quella dell’UNICAL, di fronte a persone desiderose di risposte, non di promesse. In ogni caso, la rumorosa assenza della politica, pur non costituendo un bel segnale relativamente alla disponibilità, da parte di coloro i quali pretendono di rappresentarci, ad affrontare con la dovuta determinazione le questioni vertenti sul sociale, non ha certo inficiato la riuscita del simposio, che ha offerto interessanti spunti di riflessione e preziose indicazioni, di ampio respiro, non solo regionale, sulle linee direttrici da seguire per massimizzare le potenzialità del braille quale vettore di cultura ed emancipazione per le nostre sorelle e i nostri fratelli ciechi e ipovedenti. Un valore, quello di questo metodo di letto-scrittura, che la legge n. 126 del 3 agosto 2007, con cui si è istituita la Giornata Nazionale del braille, ha inteso sottolineare, come ha avuto cura di far notare la dottoressa Roccamo, “ponendo la sua celebrazione in coincidenza con la Giornata Mondiale dell’identità linguistica, voluta dall’Unesco, e riconoscendo, quindi, al braille la sua valenza, al pari delle altre lingue, di elemento identitario per una collettività, qual è, nel caso specifico, la categoria dei non vedenti”. “In effetti – ha affermato il Presidente Regionale UICI Pietro Testa –, per quanto mi riguarda, la celebrazione di questa giornata non è solo un momento di riflessione o, come nel caso del simposio, di studio. Per me il 21 febbraio è un giorno di forti emozioni, che si sprigionano nel ricordo: il ricordo di quando, da giovane, persi la vista e, soprattutto, di quando mi accostai al sistema braille, ai puntini, che gradualmente iniziai a decifrare, superando le difficoltà proprie di quella fase. Fu necessaria una grande applicazione, che, in seguito, mi ripagò, permettendomi di realizzare la mia individualità, in ogni ambito della vita, di vivere appieno le soddisfazioni nel lavoro e le gioie degli affetti e di essere qui, oggi, a rappresentare l’UICI regionale, questa grande Associazione che è stata ieri, è oggi e sarà domani impegnata nella promozione di un linguaggio che per noi ciechi ha veramente il valore dell’identità, e, quindi, il sapore dell’orgoglio e della dignità”. Un linguaggio, “che – ha acutamente osservato la dottoressa Roccamo – permettendo ai ciechi l’accesso al patrimonio scritto dell’umanità, inerisce all’orizzonte dell’autonomia”, come ha subito dopo ampiamente spiegato, nella sua prolusione, la dottoressa Annamaria Palummo, “il cui lavoro di coordinamento tra il Consiglio Regionale, le varie sedi provinciali dell’Unione e l’Università – ha evidenziato la moderatrice – ha consentito di tenere quest’iniziativa in un luogo carico di significato, soprattutto in considerazione del tema focalizzato nel titolo del Simposio. “Un titolo impegnativo – ha esordito il Consigliere Palummo –, riferibile a una moltitudine di aspetti socio-formativi interessanti la nostra categoria. Una gamma di contenuti così vasta da indurci a pensare di tenere i lavori, questi lavori, tesi ad affrontare alcune delle questioni più stringenti evocate nella dicitura d’intitolazione degli stessi, qui, nell’Università, il luogo della formazione per eccellenza, dove s’insegna, come la denominazione stessa lascia intendere, l’universalità delle scienze: ho voluto, in accordo col Presidente Regionale Pietro Testa, che questo convegno avesse come ribalta l’Aula Magna di quest’Ateneo, trovando, al riguardo, il favore della carissima dottoressa Valenti e degli organismi direttivi universitari e associativi, che sinceramente ringrazio, perché ritengo sia opportuno declinare questo concetto della formazione in vari modi, che sono quelli inerenti alla realizzazione del non vedente come persona, come cittadino, da promuovere e agevolare attraverso percorsi specifici nel settore della pedagogia speciale, com’è avvenuto e avviene oggi e come, ancor di più, dovrà avvenire nel futuro, con le nuove tecnologie e i nuovi sistemi, integrando il sapere empirico in campo tiflologico, a cui ci siamo accostati interiorizzando l’opera di Augusto Romagnoli, che è il nostro maestro, il padre della pedagogia tiflologica, con un approccio metodologico prettamente scientifico. Quello di oggi non è solo un atto celebrativo dell’undicesima Giornata nazionale del braille, ma è anche un’occasione per trattare, o meglio, per aprire alla società civile e alle Istituzioni, anche, come nel nostro caso, a quelle universitarie, i nostri temi, quelli a noi cari, quelli in cui si sostanzia la missione della nostra Associazione, da sempre impegnata a tessere reti di rapporti umani e istituzionali finalizzati alla continua attuazione, verifica e rivendicazione, a livello nazionale, con le tante leggi di riconoscimento e tutela che siamo riusciti a ottenere, e nei vari territori, con il sostegno diretto prestato, attuando i progetti del Servizio Civile, non solo agli associati, ma a tutta la categoria dei disabili visivi, di una vera inclusione, di una vera integrazione tesa, anche in una fase procellosa per quanto riguarda la sfera del welfare, ad appropinquare la realtà esistenziale dei non vedenti a una condizione di normalità, sorretta da diritti, da pari opportunità, da serenità. Purtroppo ancora nel nostro Paese, ed è quello che colgo dal mio punto d’osservazione di Consigliere Nazionale, si è ancora alle prese con una situazione caratterizzata da disomogeneità, tra i territori, e incertezza generalizzata su questi temi, dovuta a un deficit culturale riguardante sia la società civile, in altre parole le famiglie, in seno alle quali la frustrazione e la non accettazione della condizione di disabilità sono circostanze frequentissime e deleterie, inerentemente al sollecito avvio dei percorsi educativi di cui dirò a breve, sia l’ambito istituzionale, che sovente, a parte gli interventi legislativi varati conseguentemente all’insistente attività dell’UICI, appare distante dalle nostre istanze. In questo senso, la manifestazione di oggi, tenuta qui, all’Università, potrebbe essere un inizio, un nuovo inizio, per dare rinnovata forza propulsiva alle idee, agli sforzi, alla passione di chi, come noi e insieme a noi, è in cammino per superare la dimensione della cecità. Una dimensione che è caratterizzata dal buio. Un buio che è barriera, che è limitazione, che non è libertà. Un buio che a lungo ha isolato in maniera pertinace e totalizzante la dimensione della cecità di cui si diceva prima, ovvero la quotidianità dei non vedenti, da quella che io definirei l’umanità vissuta. Certo, tutti, stanziando nel mondo, facciamo esperienza della natura umana: vivere l’umanità, però, è altro, è anche altro. Vivere l’umanità è trovare la gioia di relazionarsi col mondo, di conoscerlo, di riuscire ad assaporare nella piena libertà la luce della quotidianità nella sua poesia, cogliendo la bellezza dell’esistenza in tutta la sua sfolgorante vitalità, la medesima che dona luce all’Amore, trovante nella pienezza della libertà il suo humus ideale, la sua sublimazione. Ecco, a lungo la dimensione della cecità è stata interdetta da tale pienezza esistenziale, da quest’umanità vissuta. Poi, ecco una speranza, che è una via d’accesso, che è un ponte verso essa. Un ponte che ebbe come architetto un genio, rispondente al nome di Louis Braille, che diede a noi disabili della vista una nuova alba, quella illuminante la possibilità di vivere finalmente una vita capace di valicare ogni ostacolo, ogni barriera, ogni muro. Col suo metodo si aprì un mondo. Il mondo della cultura, della conoscenza, dell’Umanità, appunto. Il braille come ponte che ci collega al mondo e all’Umanità, dunque; un ponte in foggia di linguaggio che qui, in questo luogo, in quest’Università, mi risulta facile associare al ponte materiale che attraversa questa vallata d’Arcavacata, collegando i vari dipartimenti, i vari plessi, i luoghi ove si acquisisce il sapere, la cultura, l’attitudine a comprendere e vivere il mondo, e, quindi, l’umanità; una struttura, quella connotante questo campus universitario, che appare, che è perfettamente congruente con l’etimologia della parola Università, derivante dal latino universitas e indicante il complesso di tutte le cose di un tutto, estensivamente l’insieme dello scibile umano, le cui specificità qui si trovano mirabilmente e armonicamente connesse fra loro e a tutto il consesso umano, in cui ognuno di noi, attingendo al patrimonio d’erudizione che c’è dato in dote e che ci viene elargito dalle agenzie preposte a ciò, è chiamato ha trovare il proprio posto, con le proprie emozioni, i propri pensieri, le proprie unicità. Vedete, entrambi i ponti collegano, quindi, le nostre vite al sapere, alla conoscenza, all’esperienza formale, all’umanità, entrambi, nel momento in cui diventano accessibili, finiscono con l’essere essi stessi umanità, umanità da vivere; e questa verità, su cui tornerò più avanti, è, a mio parere, la metafora più bella da cui trarre nuovo slancio ed entusiasmo nel proseguire il lavoro finalizzato a rendere accessibile a tutte le sorelle e a tutti i fratelli, che in ogni attimo della loro vita fanno esperienza del buio, il braille, questo splendido ponte fatto di punti, per mezzo del quale noi vogliamo entrare in collegamento, in modo continuo e definitivo, col settore scolastico e con quello universitario. Una convergenza, un congiungimento di ponti, insomma, che va reso effettivo partendo da un assunto forse banale, ma certamente cruciale: l’apprendimento del braille, come ho scritto pochi giorni fa, necessita di bravi maestri, cioè degli operatori tiflodidattici, la competenza dei quali assume i connotati dell’idoneità nel corso di un lungo percorso di formazione, di cui la Scuola diventa soggetto propulsivo, ma anche critico, in quanto, a differenza del passato, allorché gli istituti per ciechi rivestivano, pur in un contesto problematico relativamente all’integrazione, un ruolo formativo primario, oggi, col superamento di quelle logiche che formavano, ma, nello stesso tempo, marginalizzavano, l’istituzione scolastica è chiamata a promuovere, riguardo alla vera e piena integrazione, nuove metodologie, nuove prassi inclusive, aventi nell’apprendimento guidato del braille il passaggio decisivo verso l’autonomia e la Libertà del cieco, il quale avendo la possibilità di accedere alla conoscenza e all’esperienza formale, di cui dicevo prima, avrà l’opportunità di divenire parte del processo relazionale simbiotico in cui si estrinseca l’esperienza umana condivisa, nel cui ambito ognuno di noi ha la possibilità di trovare la propria ragione d’esistere: ecco la via d’accesso alla Cultura, all’Umanità, alla Vita di cui si fa menzione nel tema del nostro convegno, col quale, guardando verso queste tre categorie, si vuole cercare di addivenire a una sintesi di natura pedagogica, in primis, ma anche di natura scientifica e sociologica in merito alle tappe completate e su quelle ancora d’affrontare nel nostro itinerario di sensibilizzazione e civica evoluzione, ove la via d’accesso di cui si sta trattando sia il viatico, per la persona cieca, di vivere, di essere considerata, o meglio di Essere, sopra ogni altro aspetto, una persona completamente inserita nel consesso sociale, dal punto di vista relazionale, culturale e lavorativo, secondo le attitudini e le aspirazioni di ognuno. Una via d’accesso che, chiaramente, non può che avere lo snodo apicale nell’incontro tra UICI e Università, ovverosia tra il nostro patrimonio d’esperienza specifica e, credo sia opportuno sottolinearlo, volontaria, capace di arrivare nell’ambito del sociale laddove le istituzioni non riescono, e la linfa della conoscenza universale, attraverso cui aprire, dalla Calabria, grazie al lavoro profuso nelle cinque provincie dall’UICI, nuove piste di eccellenza sulla base di una collaborazione finalizzata alla formazione degli operatori tiflodidattici, alla definizione degli strumenti e al superamento delle relative problematiche, legate all’offerta scolastica, specificamente ai percorsi da seguire per giungere alla conoscenza diffusa e specifica di un metodo di letto-scrittura che per noi è uno strumento tiflologico. In questo ambito, le figure su cui è stata incentrata per lungo tempo la risoluzione dell’apprendimento, delle modalità di apprendimento per l’alunno non vedente, facevano quasi tutte riferimento all’ insegnante di sostegno che è una figura che subentra nell’ordinamento scolastico nella seconda meta degli anni 70, precisamente nel 1977, con la legge 517. Da allora si è originato un lungo dibattito, tuttora vivo, circa il ruolo degli insegnanti di sostegno, degli assistenti alla comunicazione e/o all’autonomia del non vedente, degli insegnanti curriculari che, da parte loro, devono potersi sentire in grado di occuparsi di questa questione, senza demandare il problema specifico a una sola figura. In breve, la discussione investe l’insieme delle linee concernenti la didattica per i disabili della vista; una discussione, questa, come detto, annosa, che si protrae fin dal tempo in cui l’onda lunga della rivoluzione dei costumi e del pensiero, determinatasi diversi lustri addietro nell’humus del sommovimento sessantottino, attingente ispirazione tanto dalla visione illuministica quanto da quella marxista, tanto dal metodo della Montessori quanto dal modello di don Milani, ha dato avvio a quel percorso d’integrazione nelle scuole comuni che, immediatamente, ha messo al centro la necessità di considerare gli alunni disabili come gli altri, finalmente come tutti gli altri, dopo tempi di chiusura, d’isolamento istituzionalizzato. Sennonché, fin da subito, questo percorso d’integrazione ha palesato lacune, risultanti oggi molto marcate. Insomma, senza dilungarci in un excursus contestuale dell’argomento, attualmente, da addetti ai lavori, ci ritroviamo a rilevare una scarsa scolarizzazione relativamente al metodo braille, la cui veicolazione richiede una modalità corretta, che non può assolutamente essere approssimativa e che deve essere strutturata su specifiche competenze. In questo senso il nostro obiettivo come UICI è quello di recuperare ciò che il sistema scolastico prevede ma che non dà in termini concreti e automatici: vorremmo che all’interno di ogni organizzazione, anzi, di ogni autonomia scolastica fossero presenti figure specializzate, le cui competenze possono anche rientrare nelle funzioni dell’insegnante di sostegno, anche se noi sappiamo che, concretamente, non è così, essendo la formazione di questi ultimi, che è delegata all’università, strutturata su dei percorsi e dei programmi che sono molto generici; ed è su questo piano che emerge la specificità della nostra associazione, che fra due anni festeggerà i cento anni di attività, durante i quali ha creato nel suo ambito, con la sua tiflologia, ovvero con il suo metodo specifico, figure che possono superare l’approssimazione, entrando direttamente a contatto con un alunno e fornendogli gli strumenti adeguati per approcciarsi proficuamente al mondo dei puntini; un approccio che ha il punto nodale nella tavoletta Braille e nel punteruolo, al cui utilizzo noi avviamo i bambini fin dalla scuola dell’infanzia, quando, nella tavoletta e con la tavoletta, ci adoperiamo per rendere effettivo un apprendimento diffuso di questo sistema, attraverso cui ciò che è nascosto alla vista lo si può percepire col tatto e dove il movimento della mano diventa, nello stesso tempo, strumento di vita: non solo attività che porta a scorrere i polpastrelli sui puntini, a decifrarli e, quindi, a leggere, ma anche elemento in cui principia la possibilità di essere autonomo in ogni settore del prosieguo esistenziale; un’attività, un elemento in cui si inizia a sperimentare lo spazio. In particolare, il piano di lavoro, che è la tavoletta, richiede e, insieme, permette, nell’atto di usare il punteruolo, tanti movimenti, risultanti fondamentali nella comprensione dei concetti topologici: sopra e sotto, dentro e fuori, destra e sinistra, in alto e in basso sono concetti di cui il cieco, che non può avere l’immediata percezione della dimensione dello spazio, fa la conoscenza empirica per la prima volta proprio sulla tavoletta. È primariamente sulla tavoletta, infatti, che, per quanto riguarda il bambino cieco, si materializza la combinazione tra percezione tattile, per cui gli oggetti toccati suscitano sulla pelle una qualche sensazione, e la propriocezione, derivante dalla posizione della mano rispetto all’oggetto; una combinazione da cui scaturisce la tante volte citata percezione aptica, vale a dire la procedura di riconoscimento degli oggetti per mezzo del tatto, durante la quale l’essere umano entra in contatto con la realtà tangibile prossima al proprio corpo: la percezione aptica che viene sperimentata sulla tavoletta braille diventa, perciò, il momento in cui la sensibilità dell’alunno cieco incontra la percezione della spazialità al di fuori di sé. Un momento determinante, questo, nella maturazione complessiva, oltre che nell’itinerario didattico, dell’educando, che la nostra associazione accompagna fino al completamento del percorso scolastico, quando avrà dimestichezza anche con la tecnologia. Ovviamente, alla base di tutto questo c’è un processo che è molto complesso, essendo, questo tipo di apprendimento non banale, certamente più agevole se ci si approccia al metodo da piccoli, decisamente più arduo nei casi in cui la disabilità visiva sopraggiunge da adulti: in ogni caso, il coronamento di questo processo d’apprendimento sta nell’acquisizione di un’adeguata capacità pertinente la percezione tattile della conoscenza, che si deve sviluppare con esercizio ma allo stesso tempo deve consentire all’alunno di entrare nello specifico di ogni singola materia, non distorcendo quello che è proprio il senso disciplinare, bensì facendo attenzione che quest’ausilio sia utile alla sedimentazione e alla verifica di questo tipo di apprendimento. Questa è l’essenza della missione formativa che portiamo avanti come UICI e che affrontiamo anche oggi, in questo importante convegno, attraverso una serie di relazioni articolate e impegnative, pensate per sviluppare ogni traiettoria della questione e volte a iniziare un cammino che porti le nostre sorelle, i nostri fratelli e tutti noi a percorrere, ad attraversare i ponti di cui ho fatto ampia menzione: un cammino per istituzionalizzare il binomio UICI-Università e trovare nel progetto della Buona Scuola un compimento consono ai nostri obiettivi, capace di anticipare e incalzare i dettami della politica e di superare, una volta per tutte, i paludati fossati di una certa e, quella sì, veramente cieca burocrazia, in relazione a cui dovremmo fare un’analisi più complessiva, che ci porterebbe a esulare dal nostro tema; un cammino, stavo dicendo, che abbia come attori principali coloro i quali credono in questo lavoro, coloro i quali questo lavoro lo sanno fare e lo vogliono fare; un cammino da compiere seguendo i punti del nostro metodo, della nostra tiflodidattica, che nel tempo abbiamo affinato, palesando, anche con la mostra adiacente di ausili tecnici, didattici e bibliografici, curata dal dottor Carlo Bruni, dalla dottoressa Giusi Bartolotto, operatori della sede di Cosenza, e dal dottor Massimo De Buono, responsabile della Braille della Biblioteca Nazionale di Cosenza, la nostra capacità di definire in termini esperienziali e, unitamente, scientifici questo nostro metodo per l’apprendimento, che non deve restare isolato ma che, invece, deve entrare in sinergia con tutti coloro i quali hanno la possibilità, e quindi la responsabilità, di favorire inclusione e integrazione, coniugandosi, anzi collegandosi, ritornando all’immagine metaforica dei ponti adoperata precedentemente, con quella che è la formazione specifica, cioè la formazione che viene erogata e resa fruibile dalle Istituzioni formali come l’Università, per creare, da questa interazione tra esperienze formative, nuovi percorsi e possibilità per tutti, con cui vivere la nostra umanità. Questo simposio è, in definitiva, un’opportunità che risponde a un’esigenza globale di crescita che è nel contempo culturale, scientifica e sociale: è crescendo insieme che potremo stare maggiormente vicino alle famiglie, aiutandole ad affrontare con serenità e determinazione la realtà della disabilità visiva, in modo da aprire, senza inutili procrastinamenti, al bambino non vedente il mondo delle possibilità a cui la conoscenza permette d’accedere; è crescendo insieme che potremo giungere alla definizione territorialmente omogenea di percorsi formativi, tanto per gli insegnanti quanto per gli studenti, universalmente congrui alle diverse esigenze individuali e, più in generale, alla complessità della realtà contemporanea; è crescendo insieme che potremo, anche sulla scorta di una maggiore forza propositiva, trovare nelle istituzioni interlocutori disponibili a dare risposte concrete, anche nei territori, alla nostra domanda di attenzione; è crescendo insieme che potremo scoprire nella dimensione della cecità un sorprendente firmamento di nuovi sogni, di nuovi orizzonti, di nuove prospettive per tutti e ove tutti potremo scorgere una verità, la verità massima, quella – ha concluso la dottoressa Palummo – in grado di far capire al nostro Cuore di essere accomunati da Una dimensione, che è quella umana, quella della solidarietà, quella dell’Amore”. Una disamina appassionata che ha toccato gli elementi chiave dell’argomento oggetto del convegno e da cui emerge come, “nell’ambito dell’acquisizione di nuovi spazi d’autonomia per i non vedenti, attraverso la formazione pedagogica basata sul braille, tanta strada sia stata fatta, grazie all’attività dell’UICI, e tanta resta da fare, prima di superare definitivamente le barriere di cui s’è parlato, che non sono solo sensoriali, ma anche, con riferimento all’ambito sociale e in un’ottica più allargata, che richiederebbe l’apertura di un capitolo a parte, culturali e burocratiche”, ha constatato la dottoressa Roccamo, cogliendo, in particolare “l’importanza di dare corso alla collaborazione tra Ente associativo ed Ente universitario, per intraprendere un costruttivo percorso formativo, sia per gli alunni, sia per gli insegnanti,” con cui dare al braille quella connotazione universale a cui aspirava il suo inventore e in cui trova senso pieno e funzione massima, sul piano dell’inclusione, l’invenzione stessa. Un concetto, questo della formazione direttamente legata alle possibilità d’inclusione del disabile, a cui ha fatto riferimento, nel suo indirizzo di saluto, il professor Armando Paviglianiti, dirigente regionale dell’IRIFOR, l’Istituto Nazionale di Ricerca, Formazione e Riabilitazione per la disabilità visiva, il quale, in quanto rappresentante dell’Ente medesimo, ha tratteggiato un progetto, presentato a livello regionale, per la formazione e l’aggiornamento di insegnanti, educatori e assistenti sulla nuova tiflologia per l’inclusione scolastica, e che è stato analizzato dalla dottoressa Antonella Valenti, docente di Pedagogia speciale presso l’Unical, nella sua relazione, elaborata su un tema capitale, quale “Il ruolo dell’Università nelle persone con disabilità visiva”, in cui, prendendo le mosse dai “tanti e tutti interessantissimi argomenti accennati dalla dottoressa Palummo, ad ognuno dei quali bisognerebbe dedicare un convegno e che sono, tuttavia, tutti connessi all’ambito dell’inclusione, in particolare dell’istruzione, della formazione, del progetto esistenziale per le persone con disabilità visiva. Ambito che è come un grande arazzo, al quale devono, in effetti, lavorare tante mani, dal momento che il solo associazionismo, la sola università, le sole politiche sociali, per quanto disinteressate e sinceramente disponibili ad affrontare le varie questioni, riuscirebbero a fare poco per il bene comune: lavorare soltanto sulla scuola o sul percorso formativo degli insegnanti, quando mancano poi tutti gli altri presupposti, non basta, come non basta solo l’uso e la conoscenza di uno strumento. Magari fosse così! Piuttosto, l’uso e la conoscenza di uno strumento devono essere contestualizzati e utilizzati laddove è stato già seminato. Lavorando a più mani, sinergicamente, è, infatti, possibile dare seguito al percorso, iniziato in Italia prima che negli altri Stati Europei, di attenzione verso il disabile, in un’ottica inclusiva, la medesima che i nostri padri fondatori della pedagogia speciale italiana hanno fatto germogliare, sviluppandola e divulgandola in tutto il mondo. La cornice di riferimento deve essere, quindi, la cultura dell’inclusione, lo sfondo entro il quale si vanno a inserire tutti gli altri elementi dell’arazzo di cui dicevo prima; se manca questa cultura, manca quell’umanità, quella attenzione in grado di farci guardare oltre la patologia del disabile e di concentrarci, invece, sul suo progetto di vita: ecco, al riguardo è fondamentale la scuola, perché parte essenziale del progetto di vita è il progetto pedagogico, che si intraprende in ambito scolastico e familiare e che dovrebbe completarsi all’Università. E l’Università assolve tale compito, offrendo gli strumenti giusti, in conformità a un’analisi accurata in merito ai bisogni dei nostri studenti, con o senza disabilità, non potendo e non dovendo noi operare una distinzione al riguardo. E, dall’analisi dei bisogni degli studenti, emergono esigenze particolari, orientate tutte ad aspirazioni, sogni, progetti, che si devono concretizzare e concludere positivamente alla fine del percorso universitario. Come delegata per la disabilità, oltre che come pedagogista speciale, posso dire che abbiamo potenziato per i nostri studenti, un servizio già avviato fin dal 1999, destinato a far fronte ai bisogni educativi speciali degli studenti muniti di certificazione, e poi allargato, nel 2010, anche agli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento. Sicuramente, nonostante i nostri sforzi, si stenta a mantenere il passo di fronte alle tante e variegate esigenze, che vanno ricondotte a un unico filo conduttore, alla già citata cornice comune, alla cultura dell’inclusione, a questa parola, che non deve diventare uno slogan o un’ideologia fine a se stessa; l’inclusione va realizzata, va resa fattuale, credendo con fermezza in quello che si fa, nel proprio lavoro, cercando le sinergie giuste sul territorio, per operare sempre meglio e colmare certe debolezze, tuttora riscontrabili nella compagine universitaria, riguardanti le competenze specifiche da cui dipende la formazione dei futuri insegnanti di sostegno. Un problema, questo, che vogliamo affrontare con decisione e che siamo pronti a mettere in evidenza a ogni livello, anche a quello ministeriale, perché siamo determinati a mantenere il giusto passo rispetto a esigenze continuamente nuove, cercando di essere concreti, attenti, sensibili al quotidiano dei nostri studenti”. Bisogni quotidiani che nei bambini non vedenti richiedono particolari attenzioni, da parte degli educatori, chiamati a dotare i loro alunni di quel bagaglio formativo indispensabile a farli librare nel lungo volo della vita con quella libertà in cui si enuclea la vera cittadinanza: un aspetto, questo, approfondito dalla dottoressa Katia Caravello, psicologa, membro della Direzione Nazionale e referente del settore Informazione e Comunicazione dell’UICI, nella sua relazione “Il braille. Dall’autonomia nella lettura all’autonomia nella vita”. Un accostamento “che non è affatto azzardato, essendo il braille quello strumento, quel mezzo attraverso cui i bambini sperimentano per la prima vola l’autonomia della lettura, senza una mediazione, in maniera molto diretta”, ha spiegato la relatrice, la quale ha tosto messo a fuoco una delle principali specificità del braille in ambito educativo, che è quella di porre “i bambini con disabilità visiva alla pari con i propri compagni, favorendo il processo della socializzazione, quindi dell’inclusione nelle classi. Classi in cui ragazzi sono messi sullo stesso piano, pur adoperando diverse metodologie di lettura e scrittura, ove la carta, il punteruolo, la dattilobraille e il computer con i display braille hanno, per gli alunni interessati da minorazione visiva, la stessa funzione che la carta, la penna e i tradizionali computer rivestono nel percorso didattico dei compagni normodotati. Insomma, vi è una condivisione quotidiana di sapere, di emozioni, di opinioni. Una condivisione permessa dal braille, che, alla stregua del bastone bianco, è un elemento distintivo delle persone cieche e della cecità in generale; un elemento che fa paura, nel caso dei bambini, soprattutto ai genitori, timorosi che i propri figli possano essere emarginati perché percepiti come diversi: una paura immotivata, dannosa; una paura che è una barriera culturale, a sua volta foriera di altre barriere, anche materiali. Una barriera culturale, il cui superamento passa da un’evoluzione complessiva relativamente all’approccio verso la condizione della disabilità, che non va nascosta, in un’ottica mirata a valorizzare le specificità e le attitudini individuali, adoperando gli strumenti specifici, quali, appunto il braille, questo linguaggio universale e, come ha detto il presidente Barbuto, insostituibile. Senza dubbio, a scuola, occorre un po’ più di sforzo per apprenderlo, ma è uno sforzo che è destinato a dare frutti nell’arco di tutta la vita. Del resto, la scuola è un po’ una palestra, deve essere una palestra, in cui ci si allena a essere autonomi, che, per inciso, non significa fare tutto da soli, bensì essere liberi di fare autonomamente quello che è possibile, sapendo, però chiedere, quando necessario, il giusto aiuto affinché si possano avere le stesse opportunità degli altri. In questo senso – ha concluso la dottoressa Caravello –, riuscire a insegnare oggi ai ragazzi a essere autonomi nell’ambiente scolastico significa offrire loro la possibilità di esserlo domani, fuori, in ogni circostanza, nell’intero percorso della loro vita”. Un percorso fatto di nessi, relazioni, commistioni, confronti, sintesi di cui ha parlato Luciana Loprete, Vice Presidente Regionale dell’UICI Calabria, con delega al settore istruzione, nel suo intervento, tematizzato su “Attività ed Esperienza: nei magici puntini nuove prospettive di conoscenza”, orientato “a far emergere – ha spiegato il dirigente regionale – le connessioni tra le varie dimensioni, le pratiche quotidiane e il Braille nelle sue modalità, con i suoi tempi, il cosa si legge, il cosa si scrive, il piacere che se ne ricava e la sua socialità. La conquista della civiltà, della libertà, dell’emancipazione e del progresso ha un solo nome, ovvero cultura. Eppure, sino ai primi anni dell’ottocento ai disabili visivi, che fossero ciechi assoluti o ipovedenti, non venivano dati strumenti consoni alla propria formazione culturale. La svolta impressa, a partire dagli anni ‘20 del XIX secolo dalla preziosa opera del genio francese, divenuto cieco in età adolescenziale, Louis Braille, con la creazione di un nuovo metodo di scrittura e lettura, che egli coniò basandosi sulle tecniche comunicative militari del tempo, descrittegli dal generale Charles Barbier de la Serre, ha liberato il non vedente dalle vere tenebre, non quelle della cecità ma quelle dell’ignoranza: una tavoletta, un punteruolo, sei punti e le loro molteplici combinazioni, hanno riscattato il non vedente dalla sua condizione di emarginazione, favorendo la sua integrazione sociale, la sua capacità di relazionarsi anche con i vedenti, di potenziare le sue capacità di apprendimento, di favorire l’accesso alla vita politica, economica e culturale, assumendo ruoli anche di primo piano per la sua unicità e la sua adattabilità in ogni ambito, che sia quello letterario, matematico, musicale e addirittura geometrico. Il braille, il cui studio richiede per tutti e ancor più per i ciechi pazienza, costanza e perseveranza, tolleranza alla frustrazione, concentrazione, particolari tecniche di memorizzazione, capacità di ascoltare gli altri e se stessi, spirito critico, è diventato, insomma, lo strumento principale di crescita culturale e sociale per i non vedenti e gli ipovedenti di ogni età, rappresentando un fattore di sviluppo in numerose sfere della persona. Il braille, in particolare, rivela oggi tutta la sua potenza e attualità, dando pieno significato alle nuove conquiste tecnologiche e incentivando il processo di apprendimento, contestualmente a cui l’UICI, nei suoi cento anni di vita, ha lottato duramente e messo in campo tutte le professionalità e competenze affinché anche per i disabili visivi vi fosse la possibilità di accedere all’istruzione, Al riguardo, in un contesto territoriale come il nostro, dove non sono rari fenomeni di marginalizzazione, l’intervento della nostra grande organizzazione, che dall’alto del suo ruolo di rappresentanza, nonché di esperienza reale, interviene direttamente sui territori, è un barlume di speranza. Oggi le nostre sezioni territoriali già dall’età prescolare intervengono dapprima nelle famiglie portando la conoscenza del braille nel contesto familiare e poi nella scuola, con il principale intento di farlo divenire l’alfabeto di tutti. Un impegno che, però, non si deve fermare all’approccio familiare e scolastico, bensì pervadere ogni settore, affinché questo magico alfabeto dei puntini sia divulgato e inserito in tutti gli ambienti sociali, per far sì che anche in Calabria, come in tutta Italia, il cieco possa essere autonomo in tutti gli ambiti, non solo nello studio ma anche sul posto di lavoro o nella situazione banale di accedere ai mezzi di trasporto, in direzione di una larga e costante diffusione, portatrice di benefici non solo ai ciechi, ma all’intera collettività: del resto, un soggetto reso autonomo è in grado di realizzarsi nella vita, al pari degli altri, assurgendo a protagonista attivo della vita associata”. Un obiettivo, questo, che ha come passaggio necessario, nell’ambito formativo, una didattica appropriata, su cui ha argomentato il professor Marco Condidorio, membro della Direzione Nazionale e Coordinatore della Commissione Nazionale Istruzione e Formazione dell’UICI, nella sua trattazione imperniata sul tema “Elementi di teoretica per una didattica strutturata e tiflologica: la didattica è omologazione, emulazione o insegnamento?”, illustrata agli astanti attraverso alcune slide, spiegate efficacemente dal relatore. “La didattica, quale relazione educativa tra docente e discente – ha principiato il professor Condidorio –, presuppone una coerenza nella trasmissione dei contenuti che necessariamente, di fronte a una persona cieca assoluta e/o ipovedente grave debbono riferirsi a una realtà concreta, attinente a elementi della realtà oggettiva che siano esperibili, e il meno possibile astratta o fenomenica, concernente elementi che pur appartenendo, in quanto fenomeni, alla realtà oggettiva, tuttavia non sono esperibili dal cieco assoluto e/o ipovedente grave in quanto fenomeni prettamente ottici determinati da condizioni atmosferiche e/o da movimenti non percepibili dal soggetto. Il nucleo scientifico per ogni didattica si costituisce sulla base di tre paradigmi, il primo dei quali è la proprietà metodologica, che si riferisce a una didattica il cui approccio sarà di tipo tiflologico ed esclusivamente relativo ai contenuti disciplinari, il che significa non lo stravolgimento della didattica disciplinare stessa, in quanto la matematica così come la geometria, piuttosto che l’italiano e la storia, conservano il bagaglio lessicale e concettuale propri di ciascuna disciplina. Diversamente, se venissero stravolti lessico e concetti non potremo più spiegare la matematica e la geometria, ma altro. Appare chiaro, quindi, come l’approccio tiflologico rappresenti la metodologia specifica appropriata alle capacità di apprendimento del discente cieco assoluto e/o ipovedente grave. Tale approccio privilegia strumenti ed esperienze percettive possibili e proprie del discente che non gode della funzione visiva. Questo è il contesto proprio dell’apprendimento disciplinare. Il secondo paradigma è la coerenza dei contenuti e dei materiali disciplinari utilizzati per l’apprendimento, che devono essere presentati al discente nella forma e nel significato; adoperando il linguaggio aristotelico diremmo: “Secondo la scienza e la finalità di cui l’intelletto coglie l’identità”. Ad esempio, pensiamo al triangolo rettangolo, che non può essere spiegato a un discente cieco assoluto attraverso un’esposizione concettuale utilizzata per un alunno vedente. Infine, il terzo elemento paradigmatico afferisce all’autorevolezza rispetto agli obiettivi disciplinari, sia per l’approccio, sia per la capacità di definire gli strumenti per la certificazione delle conoscenze acquisite e di quelli per la valutazione delle stesse, alla luce dei risultati conseguiti dal discente, parametrandoli con quelli degli obiettivi che lo stesso docente si è prefissato. Ciò significa che, nella verifica delle conoscenze e delle competenze acquisite dall’alunno, il docente deve essere in grado di predisporre con il discente un confronto, che, nella richiesta del rispetto delle consegne, tenga altresì conto delle potenzialità rappresentative del discente e la capacità di utilizzare materiali e strumenti che consentano a lui la restituzione dei contenuti appresi, sancendo così il successo formativo, espressione di un apprendimento coerente e di un insegnamento appropriato, non speciale. Insomma – ha riassunto Condidorio -, appare ovvio come una parte del titolo della mia relazione sia una provocazione: una provocazione volta a riaffermare che la didattica per le persone in situazione di disabilità sensoriale, non solo di persone con disabilità visiva, deve essere una didattica degli apprendimenti, quindi una didattica dell’insegnamento, e non deve essere intesa, cosa che molto spesso accade, come una didattica dell’interpretazione, che rischia di trasmettere in modo falsificato contenuti disciplinari non conformi alle stesse discipline. Ripeto, e concludo: la matematica per un non vedente non differisce dalla matematica per un vedente; cambia l’approccio metodologico che consente di trasmettere al non vedente gli stessi contenuti che vengono trasmessi all’alunno vedente”. Un approccio metodologico che ha permesso e permette a tanti studenti non vedenti di cimentarsi con gli studi universitari; cimento con cui sono alle prese Gianfranco Mastroianni, iscritto alla facoltà di Giurisprudenza, presso l’Università Magna Græcia di Catanzaro, e Andrea Criserà, studente di Lettere Classiche presso l’Università della Calabria, i quali hanno arricchito i lavori del convegno con due belle testimonianze: in particolare, Criserà ha riaffermato la difficoltà, ma al contempo l’entusiasmo per le possibilità che nella sua vita si sono aperte con l’apprendimento del braille, fondamentale nei suoi studi, lasciando trasparire l’emozione che lo accompagna ogni qualvolta si trova a leggere e scrivere il latino con questo “metodo stupendo, proteso sui sogni e sulle opportunità”. Un metodo della cui bellezza, oltre che importanza, si possono rendere conto tutti, anche i vedenti che hanno la fortuna di ascoltare il professor Vito Romagno, docente di storia e filosofia, oltre che storico dirigente nazionale dell’UICI, il quale, attraverso il braille, “che – ha raccontato -, grazie alla buona volontà, capace di rendere tutto più semplice, ho imparato da piccolo, nel volgere di una settimana”, è riuscito a valorizzare splendidamente le sue capacità, offrendo il suo servizio alla collettività con autorevolezza e rigore: “questa mia esperienza – ha proseguito Romagno – con il braille mi ha portato, infatti, a proseguire gli studi fino alla laurea, dandomi la possibilità di intraprendere le mie attività di docente, di operatore sociale, di funzionario e poi anche politico, sedendo, per un po’ di anni, nel consiglio comunale della mia città. Io sono tra coloro i quali, riprendendo quanto detto prima dalla dottoressa Palummo, possono testimoniare in maniera diretta che sì, il buio si può veramente superare con questo codice di letto-scrittura regalatoci da un giovane francese. Certo, occorre essere forti e lucidi: io fin da subito, successivamente all’incidente, in cui sono incorso dopo aver conseguito la quinta elementare, ho avuto chiara la consapevolezza di dover imparare a convivere con la cecità per mettermi nelle condizioni di avere la meglio su tutte le difficoltà che si sarebbero incontrate. Difficoltà che si sono presentate e che sono riuscito a superare, anche, nel mio caso specifico, integrando la possibilità di interiorizzare il sapere attraverso il braille con la capacità di immaginare, scavando nei miei ricordi di giovanissimo vedente, la bellezza del creato. In ciò io sono stato agevolato e, probabilmente, anche spinto a condividere la mia condizione di cecità coscienzializzata, con cui ho interiorizzato questo metodo, capace di creare nel cieco l’armonia dei movimenti, necessaria a comprendere quello che ci circonda, in ogni suo particolare, sotto ogni aspetto”. Testimonianze importanti e toccanti, come quelle di alcune ragazzine non vedenti presenti in Aula Magna, le quali “incarnano – ha asserito la coordinatrice Palummo – quella forza idonea a vincere la frustrazione che spesso induce tanti nostri ragazzi ad arrendersi di fronte alle difficoltà lastricanti il loro percorso formativo e ad abbandonare gli studi, come se l’apprendimento, per i disabili della vista, costituisca un ostacolo insuperabile: ebbene, niente è insuperabile! A dirlo, in maniera forse più convincente di tutti, è stata una bambina della scuola media, la quale, nel parlarci delle modalità che le hanno permesso l’apprendimento del braille, grazie a tante figure esperte della nostra organizzazione ma anche della scuola, ci ha raccontato come, fin dall’inizio, tutti i suoi compagni di classe abbiano voluto imparare il suo metodo di scrittura e lettura, per evitare che lei si sentisse diversa ed esclusa dalla condivisione della materia, del compito, dell’interrogazione, dell’attività scolastica, insomma, e anche dal fantasticare su ciò che gli studi potranno offrire loro da grandi. Ecco un percorso d’apprendimento esemplare, iniziato all’insegna dell’inclusione e culminato con un risultato eccezionale, grazie alla capacità, di educatori ed educandi, di sapere e volere andare oltre il pur fondamentale processo d’apprendimento del braille, con una ragazzina determinata ad avere le stesse opportunità dei compagni e con questi ultimi disponibili, aperti, pronti a camminare, a correre al suo fianco, adoperando gli stessi mezzi, in un sublime slancio empatico, nell’itinerario verso quell’umanità vissuta di cui vi ho parlato in apertura. Ecco gli esempi, i modelli di cui abbiamo bisogno, noi come categoria, e l’intera collettività, in quanto espressione dell’Umanità. Questa bambina ci ha comunicato che è possibile condividere metodi, strumenti, emozioni. Queste bambina ci ha dimostrato che è davvero possibile realizzare il progetto d’inclusione di cui oggi abbiamo parlato, ove l’UICI dovrà avere il suo ruolo, in sinergia con gli altri attori che abbiamo indicato, sensibilizzando, rivendicando, proponendo, costruendo un nuovo sentimento civico, facendo in modo che gli altri ci conoscano e lasciando che decidano di stare volontariamente, insieme con noi, sulla stessa linea. Sentire tratteggiare, con parole semplici e con la sua innocenza, questa linea da una ragazzina, che ha tanta voglia di andare avanti nella vita e di farcela, rende grondante di speranza la nostra prospettiva di fare del braille un linguaggio di comune padronanza e conoscenza, e con esso, della nostra quotidianità una dimensione di comune coscienza ed esistenza”. Questo il messaggio positivo, in cui ha compendiato i contenuti del Convegno, lanciato dal Consigliere Nazionale Palummo, la quale pochi minuti dopo la conclusione dei lavori, a ideale coronamento di una grande giornata, è stata ospite, insieme al Professor Romagno e alla dottoressa Giusi Bartolotto, della seguitissima trasmissione pomeridiana Direttamente, condotta dalla dottoressa Rosalba Baldino e in onda su Tele Europa Network, rete televisiva che ha dato grandissima risonanza all’evento, così come stazioni quali Radio Sound e Radio Cosenza Nord, che, con il loro lavoro, da sempre offrono grande spazio alle questioni attinenti al progresso culturale e, quindi, sociale del nostro tempo, in linea con quella funzione di servizio civico propria dei media e che, spesso, altre emittenti e giornali, anche di carattere nazionale, non onorano pienamente, lasciando passare sotto silenzio eventi e momenti in cui il pubblico potrebbe trovare elementi di riflessione costruttiva per un’immanenza diversa. Sì, la trasmissione ha costituito il degno coronamento di una grande giornata, resa ancora più efficace, afferentemente alla valorizzazione mediatica dei contenuti scientifici e socio-culturali che la hanno nobilitata, dalla profonda sensibilità, non disgiunta da una rigorosa professionalità, palesate da chi ha seguito e data risonanza all’iniziativa dell’UICI. Sì, veramente il bellissimo coronamento di una giornata importante, arricchita dalla partecipazione di eccellenti relatori, dalla presenza di tanti amici e, soprattutto, dalle sorelle e dai fratelli ciechi e ipovedenti giunti dalle varie sedi territoriali calabresi. “Oggi noi siamo stati all’Unical, a parlare di integrazione e inclusione, sociale e scolastica – ha affermato la dottoressa Palummo, a conclusione dei lavori –, perché vogliamo migliorare il nostro contesto esistenziale. Oggi abbiamo parlato perché vogliamo assolutamente imprimere, con la scienza e con il metodo, ciò che in passato era difficoltà, era approssimazione, era un apprendimento certamente guidato ma insufficiente nel portare a quei risultati che noi auspichiamo per tutti le donne e gli uomini di oggi, in quanto persone coscienti di avere una personalità e un’intelligenza; personalità e intelligenza da utilizzare, con cui realizzare quei sogni di cui hanno parlato i nostri giovani studenti. Quindi il sogno rimane aperto, aperto a tutti, nel senso che tutti dobbiamo lavorare affinchè diventi realtà. Quella di oggi è stata una tappa importante, la tappa in cui l’UICI regionale, per la prima volta, è entrata in maniera formale qui nell’Università e dove l’UICI si è vista confermare, attraverso le parole della professoressa Valenti, la disponibilità ad aprire in maniera formale e rigorosa un cammino comune, in relazione alle tematiche trattate, che, come giustamente da lei sottolineato, necessiterebbero ciascuna di un convegno specifico. E allora l’auspicio, il desiderio mio e di tutti partecipanti ed Enti organizzatori del simposio, è che nel prossimo futuro possiamo continuare a parlare di noi e di tutto il lavoro che con la nostra storia, la nostra esperienza, la nostra competenza e la nostra passione vogliamo portare avanti, affinché la cecità, per nessuno di noi, sia più una barriera di buio, bensì una condizione dell’esistenza con cui non convivere, bensì Vivere la nostra vicenda umana. Grazie a tutti!” Sì, quella del 21 febbraio scorso, è stata una giornata da ricordare, luminosa nonostante la pioggia; pioggia che ha dato linfa alla terra, alla nostra terra, così come i preziosi valori, sgorgati dalla mente e dal cuore di chi ha dato colore al Simposio, hanno dato linfa al nostro Cuore, dissetando quel sospiro di gioia in cui albeggia ogni sentimento d’Amore. Grazie veramente, di vero Cuore.
Pierfrancesco Greco

Tavolo dei relatori

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