L’8 marzo per me…

L’emancipazione civica delle donne calabresi è un processo incompiuto: tanti gli spazi dove è dominante il pensiero e la presenza maschile; sistemi subculturali che occultano la sudditanza delle donne madri e figlie verso mariti e padri autoritari; precariato nella condizione lavorativa, a causa della crisi produttiva di alcuni settori ad alta caratterizzazione femminile; scarse, o addirittura assenti, misure a sostegno della famiglia; isolamento e discriminazioni per le donne svantaggiate per condizioni di non autosufficienza o per minorazioni fisiche o sensoriali; correlazione tra il successo di poche donne e la loro dubbia moralità.

Non si tratta di rivendicare potere, piuttosto constatare che l’organizzazione, la gestione ed il funzionamento di settori strategici per il benessere collettivo, spesso non possono essere governati da un pensiero e da un concezione del mondo illuminati dall’altra metà del cielo. Non si sta qui a recriminare se e come le donne siano più brave, più intelligenti e più belle: non è questo che ci interessa! Le donne, in Italia, hanno conquistato il diritto di voto solo nel 1946, 28 anni dopo la Russia ed Regno Unito, 26 anni dopo gli Stati Uniti d’America, insomma in forte ritardo rispetto a tanti paesi del consesso planetario. In questi 66 anni,  la coscienza, ma soprattutto la libertà politica apparentemente si sono evolute; de facto, la difesa delle quote rosa, stigmatizza una concessione piuttosto che una naturale ed intangibile condizione. Anche la violenza sulle donne ed alle donne, spesso spiegata e giustificata come eventualità naturalmente connessa alla vita di coppia e di relazione, rappresenta il segnale di quanto il processo culturale sia in ritardo con quello formale stabilito dai tempi che viviamo. Secondo la moderna le cultura laica e occidentale, donne e uomini sono uguali, nei diritti e nei doveri; eppure, ancora oggi, in certi contesti, piccoli, come talune realtà periferiche del cosiddetto mondo occidentale, e grandi, come alcune realtà statuali, tali valori risultano schiacciati da costumi e credenze, spesso di natura religiosa, tesi a ridimensionare, nell’ottica di un’ipocrita difesa della sacralità femminile o, d’altro canto, di un’inaccettabile discriminazione sessista, il ruolo della donna nella società e nelle sue istituzioni. Un ridimensionamento, che sovente, anche in società culturalmente evolute come la nostra, trova respiro in situazioni particolari: una di queste riguarda il caso in cui la donna è portatrice d’handicap. Un’eventualità, questa, che aliena la donna dalla normalità, alzando barriere e stigmatizzando il vizio sociale che, nel considerare il visus mancante un elemento totalizzante, assimila i ciechi e gli ipovedenti a soggetti sociologicamente marginali. La donna cieca e ipovedente è una donna che deve agire secondo il senso dell’olfatto, dell’udito, del tatto, delle percezioni propriocettiive e vestibolari, ma ambienti non sufficientemente semplificati e lineari, nonché funzionali a rappresentazioni mentali accessibili, narcotizzano le relazioni creando isolamento e depressione; la donna cieca ed ipovedente può esprimersi liberamente come cittadino solo se ai diritti formali si coniuga quell’impegno, sancito dalla Costituzione Italiana, di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3, comma 2); la donna cieca ed ipovedente è in difficoltà quando vuole esprimersi nel diritto di genitorialità o maternità: spesso l’istinto materno e il desiderio di crescere un figlio vengono repressi perché la paura degli altri diventa paura personale e magari ci si convince che un bambino cresciuto da una donna cieca rischia di farsi male. Che sciocchezza, quanta superficialità, che stantii luoghi comuni. E’ ora di pensare ad un lavoro concreto per rimodulare spazi e concezioni, tenendo sempre fermo il principio che la vita, in qualsiasi forma si manifesti, è un diritto da valorizzare, curare, scambiare, condividere ed amare senza alcun pregiudizio.

Cosenza, 7 marzo 2012

Annamaria Palummo

Presidente regionale UICI Calabria

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